sabato 26 settembre 2009

Breve indagine sulla scoperta del paesaggio pientino, da Romea Ravazzi a Aleardo Paolucci :alla ricerca del 'genius loci' della Val d'Orcia

BREVE INDAGINE SULLA SCOPERTA DEL PAESAGGIO PIENTINO: DA ROMEA RAVAZZI A ALEARDO PAOLUCCI, ALLA RICERCA DEL ‘GENIUS LOCI’ DELLA VAL ‘ORCIA.

Di Fabio Pellegrini



Una tavolozza,un violino, un pianoforte, un teschio, da cui non si separava mai: le uniche cose di Romea Ravazzi, che hanno segnato il suo passaggio, quasi per ricordare che l’arte e la vita sono la stessa cosa, ma che niente come la morte spiega meglio la caducità delle cose e ad un tempo la longevità e l’universalità dell’arte. La sua povertà e il suo candore, raccontano che fosse la migliore premessa alla sua pittura. Il suo rapporto diretto con le cose della campagna, con gli animali selvatici,i fiori, le persone semplici, ha fatto sì che nella sua pittura gli elementi che componevano l’atmosfera e il paesaggio rurale della Val d’Orcia si possano oggi leggere come un ‘cantico della natura’. L’aneddoto dell’uccellino con l’ala spezzata curato dalla Zia Remì che torna dalla sua salvatrice, disegnato da Alerado Paolucci nello stendardo di presentazione della mostra.

‘La Zia Remy non sta più qui
se ne andò a villeggiare
a Follonica sul mare’

E’ uno degli l’ultimi biglietti curiosi, scritti puntualmente in rima, da Romea Ravazzi, apposto sulla porta di casa a Beccacervello, prima di partire per una vacanza marina, l’ultima, quasi un presagio. La Zia Remy morì infatti a Pienza nel 1942 in casa Grappi, alle Case Nuove; era nata nel 1870, un anno importante per l’Italia divenuta stato unitario. Aveva 72 anni ed un male al seno l’aveva condannata. Dicevano i Romani ‘nomen èst omen’ : la Zia Remy aveva il nome di una strada, la più importante di tutte, la Romea, essa stessa storia e percorso di sentimenti e di persone ad un tempo. Come la pittrice di Pienza e della Valdorcia, essa stessa emblema di un percorso e crocevia di una vicenda culturale e di costume, che oggi suscita così grande interesse.
A questo proposito, un solo piccolo, insignificante particolare, lega casualmente la storia della mia famiglia pientina con quella di Romea Ravazzi e mi piace ricordarlo soltanto per le ragioni affettive che mi fanno sentire parte di questa piccola, ma antica comunità. Mio nonno, Angelo Pellegrini nel 1942, dopo la morte dell’artista, testimoniò la morte avvenuta e firmò per il riconoscimento, come è attestato nel registro dei decessi conservato presso il Comune di Pienza, dove compare la sua firma.
Niente più che una coincidenza, un dovere civico di uno che la conosceva bene, come quasi tutti i pientini del tempo. Mio nonno non era un intellettuale e nemmeno un artista, era uno che per lavoro frequentava ogni giorno le campagne e i poderi della Valdorcia e come mi aveva talvolta raccontato, incrociava spesso la ‘signorina’ nei suoi vagabondaggi solitari nei pressi di Porciano, un podere che mio nonno aveva abitato alcuni anni prima e che con la famiglia Grappi aveva ospitato per un pò l’artista al suo ritorno a Pienza, dopo l’inizio degli anni Venti.
Non era facile, nel periodo fra le due guerre, incontrare nelle campagne pientine una donna armata di pennelli e tavolozza, quando anche di violino.. Più facile incontrare contadini o troccoloni come era mio nonno o stagnini, calzolai, sarte, al lavoro nei poderi. Un brulicare di uomini e di donne in campagna oggi neppure immaginabile. Un’artista come la Ravazzi, conosciuta dai pientini come la Zia Remy, non poteva nel tempo che suscitare curiosità nei più e simpatia, con la sua dolcezza mista ad amore per la solitudine e per la natura, con le sue stranezze e la sua poverà, che era più di una garanzia quanto a umanità e grandezza d’animo. La Zia Remy visse inizialmente per un po’ di tempo a Porciano, con la famiglia Grappi, quindi si spostò più tardi a Beccacervello, dove vivevano le famiglie Carratelli e Pasquetti. Qui aveva la sua stanza di artista: un teschio sul comò, il pianoforte e il suo violino, con il suono del quale amava salutare i morti del paese. Racconta Aleardo Paolucci che una volta disegnò col suo sistema di ritrarre dal vero tutto, il muso di un coniglio di quelli di una volta, tutti bianchi e grandi di corporatura, con gli occhi rossi…Quando lo vide la signorina de La Salle sua amica, lo volle e in cambiale regalò un coniglio vero. Campava così la Zia Remy, del suo lavoro, giorno dietro giorno.
La sua arte era legata alla rappresentazione del mondo come ‘mimesis’, il suo naturalismo, la sua tecnica pittorica ‘dal vero’, le sue nature morte, i suoi ritratti ed i suoi paesaggi ci raccontano di una artista fortemente legata alla pittura ottocentesca, artista eclettica dal punto di vista stilistico, capace di cimentarsi nelle tecniche più raffinate.
Ma se è vero che Romea Ravazzi resta ancorata al naturalismo della fine dell’ Ottocento, mostra tuttavia una intuizione culturale importante dal punto di vista del sentimento del paesaggio della Valdorcia, intuizione che, se si escludono alcuni pittori venuti dopo, come Dario Neri e ancora più tardi Aleardo Paolucci, è da considerare rara e precoce nella nostra terra, sicuramente anticipatrice.
Non vi sono dubbi sul fatto che, a partire dal Romanticismo, fino alla prima metà del Novecento, la percezione comune dei viaggiatori e della cultura nazionale e locale circa la Val d’Orcia e il suo paesaggio è fortemente negativa. E’ infatti quella di un paesaggio povero di colture legnose e in creta, causa di miseria e di isolamento, una terra di confine e di fuoriusciti restata per secoli nell’abbandono. Basta leggere i resoconti dei viaggi odeporici o i travel book dei viaggiatori del Grand Tour, per capirlo subito. Anche le conclusioni di un viaggiatore senese, come Fabio Bargagli Petrucci, legato dalla passione storica alla Val d’Orcia, non giunge a conclusioni descrittive tanto diverse.
E’ da questo sentimento negativo del paesaggio, che prende radici la progettualità della Bonifica Integrale fascista, il rilancio dell’appoderamento e della mezzadria, l’avvio della ‘bonifica’ del paesaggio calanchivo, la nascita del rivendicazionismo sindacale dei contadini. Non si intravede alcun accenno in questo periodo ad una visione anticipatrice del nostro tempo, se non in alcune riflessioni di Iris Origo, alcuna considerazione del paesaggio della Valdorcia come ‘risorsa’. Questo si sarebbe (almeno teoricamente ) concretizzato solo cinquanta anni dopo, nella progettazione del Parco artistico e naturale della Valdorcia , grazie alla intuizione del Sindaco di Pienza del tempo, Vera Petreni e dei suoi collaboratori.
E’ con l’avvio teorico di questo progetto che si potrebbe infatti identificare ufficialmente la nascita della ‘consapevolezza’ nella classe dirigente della Valdorcia, circa il valore del paesaggio della loro terra in un mondo ormai in rapido cambiamento. Consapevolezza della necessità della ricerca di un nuovo modello di sviluppo e della riconversione produttiva del territorio possibile, dopo l’epopea mezzadrile.
Il primo ed unico riconoscimento postumo tributato alla Zia Remy dopo la sua morte, fu lo spazio di una mostra tenutasi a Pienza nel settembre del 1972, il ‘Terzo incontro d’Arte’ a quel tempo organizzato da Aleardo Paolucci e dagli amici della Pro Loco, con il patrocinio del Comune di Pienza. Una parte della mostra costituì la prima e ultima parziale retrospettiva di questa artista che ne La Nazione’ dell’epoca, viene giustamente posta in luce in un pezzo non firmato dove si leggeva: ‘ Nelle poche opere esposte della zia Remy, che tutti i pientini rammentano con simpatia ed affetto, rivediamo l’enorme possibilità espressiva di questo candido personaggio che è ancora vivo fra di noi, ricordato anche per le molte stranezze poetiche e la sua grande umanità. Tutto l’Ottocento italiano ha trovato in questa pittrice una studiosa attenta e sensibile, ma che ha saputo liberarsi ugualmente da ogni limite accademico per raggiungere risultati che esaltano e commuovono. Si è pensato di dedicarle tra breve una retrospettiva più ampia e completa per meglio far conoscere le sue qualità pittoriche ed umane’
L’ottimismo di allora, ‘a breve’…, si concretizza oggi finalmente in una retrospettiva che ricostruisce la vicenda artistica della ‘Zia Remy’.
Oggi nella pittura di Romea Ravazzi, la presenza e la considerazione del paesaggio appare più che mai frutto di una considerazione cosciente, legata ad un sentire moderno ed avanzato del paesaggio, ad un vedutismo che attribuisce al paesaggio naturale e umanizzato un valore autonomo, degno di essere chiamato ‘ risorsa’ , tale da invogliare i viaggiatori colti (oggi diremmo i turisti, ieri i ‘forestieri’ ) circa un soggiorno di scoperta di queste attrattive. Paradossalmente, se dal punto di vista della pittura, l’arte di Romea Ravazzi appare legata al passato e sembra non subire direttamente il fascino delle avanguardie del Novecento, la sua intuizione circa il paesaggio e il suo valore in Valdorcia, appare invece rivolta la futuro. Insieme a lei come non ricordare le allieve pientine Giulia e Petra Fregoli, studentessa quest’ultima dell’ Accademia, che appare particolarmente influenzata,da questo punto di vista dalla Zia Remy. Nella collezione degli olii di Petra Fregoli emerge uno spiccato senso della veduta paesaggistica, una attenzione particolare ai ‘sodi’, rappresentati e sentiti per la prima volta non più come natura ‘ostile’, ma quale ‘valore’ paesaggistico da mettere in evidenza. Mi lega idealmente a Petra Fregoli la rappresentazione perfetta della casa colonica (una casa torre medioevale) di San Giuseppe, poco prima della Pieve di Corsignano, di proprietà nel dopoguerra della mia famiglia , luogo mitico della mia infanzia che conobbi e praticai a lungo nella forma architettonica rappresentata i della pittrice pientina, così come era stato per secoli, prima dell’abbattimento della torre avvenuta negli anni Sessanta, quando il podere non apparteneva più a mio nonno.
Il genere ‘veduta’ con tutti suoi sottogeneri era indubbiamente conosciuto dalla Zia Remy, sia quello rivolto nel suo secolo al ‘pittoresco’ che quello rivolto al ‘sublime’, ma la sua ‘veduta’ minore di una Val d’Orcia poetica e marginale, finisce per antivedere nel paesaggio del tempo quegli elementi che dopo cinquanta anni assurgeranno inconfondibilmente a simboli di questa terra improvvisamente scoperta da milioni di visitatori. Petra Fregoli sembra muoversi nella direzione aperta dalla Zia Remy con grande convinzione e con un modo di sentire e di guardare al paesaggio assolutamente nuovo in questa terra.
Direi, senza alcuna pretesa di definizione, che almeno a prima vista, l’attività della Zia Remy appare più un episodio anticipatore del vedutismo contemporaneo del paesaggio, piuttosto che una esperienza artistica fine a se stessa, documento di una originale personalità artistica locale. Pertanto, al di là del valore culturale e affettivo che giustamente la comunità pientina conserva nella memoria, circa il passaggio della mitica Zia Remy con le sue stravaganze e la sua arte, occorre considerare il modo originale e innovativo con cui l’artista osserva il paesaggio e gli elementi che lo caratterizzano, non più scenari legati al naturalismo di analisi o denuncia di fine Ottocento, ma oggetto di godimento e di un sentire poetico diffuso nelle èlites colte, che preannunciano l’era del turismo e del viaggio. Era nella quale il paesaggio assume un ruolo centrale,oggetto di ricerca e esso stesso ‘economia’.
Il casale del podere Il Cipressino ( staziona fra l’altro davanti al podere Beccacervello, dove sembra operare un tipico ‘genius loci’ di Pienza legato alla storia della pittura) diviene, in un suo dipinto, un simbolo di questo mondo, allo stesso modo in cui, quasi un secolo dopo, diventerà ‘icona’paesaggistica della intera Val d’ Orcia, assurta a portale dell’Italia turistica dell’era dell’accesso.
Lo stesso podere di Beccacervello, attualmente abitazione privata, sede della bottega d’arte del pittore Aleardo Paolucci e del figlio pittoscultore, Enrico Paolucci, pregiati interpreti dell’arte figurativa contemporanea senese, è stato talvolta rappresentato dalla Zia Remy e Aleardo Paolucci ha voluto con un suo dipinto, realizzato sulla parete interna della sala del soggiorno, ricordare la presenza di Romea Ravazzi fra quelle mura.
La ricerca di un ‘genius loci’ all’ombra dei susini di questo piccolo podere prossimo alla strada di Santa Caterina, non è atto gratuito, ma è riferibile anche alla presenza in questa casa di Gino Severini pittore del Futurismo italiano( episodio da lui stesso ricordata nel suo ‘Diario d’Artista’) , legato alla città di Pienza dalla residenza paterna e dalle visite compiute in compagnia della giovane moglie francese, proprio in questo casale, abitato nei primi anni del Novecento da un Canonico pientino.
Si racconta in proposito che in questa casa abitata alcuni anni più tardi anche da Romea Ravazzi , l’artista ‘parigino’ posto di fronte all’imbarazzo della moglie Janine, per la macchia causata da un chicco d’uva schiacciato casuamente sul suo abito bianco, abbia voluto sollevarla da questo suo rammarico colorandosi…tutta la giacca la bianca con un grappolo d’uva rossa, premuta contro l’abito. Da Severini a alla Zia Remy e a Petra Fregoli che rappresenta spesso la strada e la casa di Beccacervello, ai Paolucci, non si può dire che sia facile trovare in Valdorcia luogo simile, dove agisce la presenza di un‘genius’ …per così lungo tempo.
Occorre ricordare inoltre che l’uso artistico dell’immagine nell’Era della riproducibilità dell’arte, ha acquisito per noi contemporanei un significato diverso da quello che possedeva in epoche lontane e che il consumo di immagini legate al vedutismo paesaggistico( oggi divenuto esercizio quotidiano privo della carica poetica originaria, a causa della grande quantità di immagini che vengono proposte in ogni modo dall’industria del settore) ha finito per ancorare l’idea contemporanea di viaggio ad icone ricorrenti, solo e soltanto alle quali è affidato impropriamente e simbolicamente tutto il messaggio positivo che promana un territorio.
Una mostra retrospettiva come quella di oggi, riesce prima di tutto a spiegare come nasce e come si sviluppa in un artista, giorno dopo giorno, il suo rapporto di amore con un territorio e di come lui medesimo possa divenire capace di interrogarlo con la sua ricerca, trasmettendo la sua intatta meraviglia. Questo a prescindere naturalmente dalla collocazione o dalla importanza della sua opera, nella storia della pittura e nella evoluzione tecnica e artistica del suo lavoro che spetta allo storico dell’arte collocare.
I paesaggi e gli angoli della campagna pientina, i poderi che fanno da sfondo alle nature morte ed ai ritratti della Zia Remy, le strade percorse ogni giorno, gli orti e le piccole aie dei poderi vicini alla città, i volti teneri dei bambini e gli occhi pensosi dei grandi dipinto dall’artista di origine umbra, costituiscono nel loro insieme una visione ed una idea del paesaggio naturale ed umanizzato della Val d’Orcia simile a quella che spesso viene ritratta ed idealizzata( sì idealizzata…) oggi con l’uso delle tecniche fotografiche e di elaborazione elettronica più sofisticata.
E’ come se il prodotto odierno della foto artistica potesse in qualche modo solo avvicinarsi alla realtà di ieri, una realtà in gran parte scomparsa, ma la cui memoria esercita ancora un grande fascino sui conoscitori della storia di questo paesaggio. Come ad esempio succede con le ‘Crete’ mitiche dipinte più tardi con grande poesia da Dario Neri o da Aleardo Paolucci, Crete che oggi che non ci sono più, ma che l’arte della fotografia e dell’informatica riesce a moltiplicare e far vedere dappertutto,col suo grande potere illusionistico.
Romea Ravazzi, come riferiscono i racconti di chi l’ha conosciuta, era povera e viveva della sua arte, quindi talvolta era costretta a dipingere per pura necessità Tuttavia il suo piacere del ritrarre, opera sempre nei suoi lavori come una trasfigurazione del reale, quasi riuscisse costantemente a sottrarre alla realtà quotidiana un suo significato superiore e segreto. Dipingere, come scrivere, non è un esercizio meccanico e in coloro che vivono o hanno sempre vissuto in simbiosi con l’ambiente naturale ed umano, sentito come universo vivente e non come ingombro casuale, questo esercizio può costituire il modo migliore per comunicare e trasmettere sensazioni, fornire chiavi di lettura e di interpretazione di immagini altrimenti ignorate dai più Ma quello che oggi può apparire solo come una originale, bizzarra, poetica e marginale intuizione estetica, domani può divenire il punto di vista estetico dominante, che elegge un paesaggio a icona del suo tempo.
Nell’era post-turistica che stiamo vivendo ( ai più non sfuggirà che una certa idea del ‘turismo’ è già tramontata nelle èlites culturali e che si fa strada un nuovo modo di intendere il soggiorno e di viverne il ’riposo attivo’, cioè l’ otium di antica memoria. ) acquista sempre più importanza e potere il messaggio della cultura immateriale legata al territorio e al paesaggio, alle sue trasformazioni, a discapito della cultura dell’accaparramento materiale di beni. Da parte del turismo culturale diffuso, il turismo dei ‘viaggiatori’, anche in virtù del cambiamento dei comportamenti e degli stili di vita indotti dalla crisi globale, si tende a vivere la vacanza sempre più di ‘testa’ e alla ricerca sensazioni, e sempre meno di ‘pancia,’ con i conseguenti ‘accaparramenti’ materiali di natura varia. La pittura, la musica, la letteratura, legate al paesaggio in modo naturale, acquistano oggi grande rilievo in Val d’Orcia come vettori di ‘sviluppo’.Zia Remy è stata una pioniera solitaria e profetica di un modo di sentire e vivere la natura e il paesaggio di questa terra, che oggi si afferma sempre di più nel costume del soggiorno dei viaggiatori sentimentali dell’Era dell’accesso, la nostra Era.
Con Aleardo Paolucci il vedutismo novecentesco del paesaggio pientino e valdociano compie un salto di innovazione e tende anche stilisticamente a colmare la distanza del tempo trascorso. Con il suo pennello e la sua spatola Aleardo riesce a trasformare il paesaggio della Valdorcia in una categoria della vista e dello spirito ad un tempo e a renderla caratteristica permanente della sua pittura. La conoscenza approfondita della materia prima del paesaggio, la Creta ( la Creta che Aleardo lavorava da ragazzo povero alle fornaci di Pienza) non è più solo oggetto di poesia e di contemplazione, ma anche lo scenario su cui resta impressa la sofferenza materiale degli uomini e la loro storia, per cui la sua ricerca offre fin dall’inizio della sua attività artistica, la veduta di un paesaggio umanizzato e segnato profondamente dal lavoro e dalla sofferenza umana. Questa terra lavorata o ‘soda’, ignorata o fotografata, risplendente o cupa, rappresentata nel mutare lento delle stagioni, diventa nella pittura di Aleardo Paolucci una specie di calendario della vita, una diario su cui egli scrive pagine indimenticabili di ‘storia del paesaggio’ o meglio di ‘storia nel paesaggio’ della Val d’Orcia. La pittura di Aleardo Paolucci e il suo vedutismo storico si alimentano di una intelligenza e di una poesia laica che non nasconde una visione libera e profondamente religiosa della natura e delle cose. Religione nel senso etimologico del termine, cioè come legame profondo e commovente che un intellettuale o un artista possono stabilire con l’elemento principale del paesaggio e della natura : l’uomo. Penso a Pier Paolo Pasolini o a Renato Guttuso e al legame di tipo religioso che univa questi uomini di cultura laica a quello che rappresentavano. Aleardo Paolucci, in una lettera scritta tanti anni fa a Guttuso per ringraziarlo e informarlo del successo della sua mostra di Pienza ( settembre1974 ) da lui organizzata col Comitato cittadino, scriveva fra l’altro : “ Una persona molto semplice ha espresso timidamente questo giudizio a proposito dell’opera ‘Uomo col bambino in braccio’. ‘ Il bambino che appoggia la testina sulle spalle del padre emana un calore…’ ( intendeva dire proprio un calore fisico, termico). Il giudizio contenutistico svela inconsapevolmente anche l’aspetto formale; infatti la testina del bimbo, così vera e finita, grazie al chiaroscuro, acquista un dolce peso e quel tepore avvertito dal visitatore…”. Il vedutismo di Paolucci che pur ha alimentato la pittura di decenni con i paesaggi in creta, le colline , le trebbiature e il lento mutare dei colori della terra nelle quattro stagioni, possiede questa caratteristica, questo valore aggiunto di umanità, che ha reso molto amata la sua pittura ‘valdorciana’ in Italia e all’ estero. Con l’affermarsi della pittura di Aleardo Paolucci e di pari passo della scultura dipinta del figlio Enrico, la fama della Val d’Orcia è cresciuta progressivamente a partire dagli Incontri d’Arte e le Mostre di Grafica degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, fino a diventare quello che è oggi in conseguenza del riconoscimento UNESCO, attribuito in ordine di tempo, prima a Pienza e poi alla Val d’Orcia. La coscienza del valore del paesaggio è così divenuta patrimonio collettivo, anche se il grado di protezione di questo, non è cresciuto di pari passo con la sua fama, nelle campagne che hanno visto gran parte delle Crete raffigurate dalla Zia Remy, da Giulia e Petra Fregoli, da Dario Neri e da Aleardo Paolucci, scomparse lentamente per sempre sotto i colpi dei moderni sistemi di movimento della terra.Oggi di questo paesaggio caratteristico in Creta non resta altro che un fragilissimo sistema residuale da difendere

21 commenti:

Henri ha detto...

Molto bello e importante, grazie Fabio, come sempre tu ci sei.

Anonimo ha detto...

La presentazione dellamostra èandata bene ed èstata interessante. Che bella la sede della Fabriceria !!!!Complimenti Francesco e gli altri !!!!

Irene-Bologna ha detto...

Grazie verrò a vedere la mostra.

prof. Zuini ha detto...

La sede della mostra è stupenda e Romea Ravazzi appare veramente grande pittrice.

Anonimo ha detto...

Questo saggio mi spiega tante cose,grazie.

Da Lugano. ha detto...

Verrò a vedere la mostra. Grazie

Un viaggiatore. ha detto...

La mostra è molto bella,lei era veramente brava. Le altre un pòmeno.Ma va bene così. Lei è interessante come personaggio.Questa 'Indagine' spiega molti aspetti interessanti della vicenda e della storia artistica di Pienza nel Novecento. Grazie molte.

Anonimo ha detto...

Bello, fabio...ma ci vole la laurea per leggelo tutto..

la prof di disegno. ha detto...

Perchè questo testo non è finito nel catalogo? Sarebbe stato un bel contributo sulla modernità della pittura pientina e non solo...dal punto di vista del valore del paesaggio, aspetto ignorato dai pur bravi studiosi che hanno scritto nel catalogo.Ilpaesaggioè il valore aggiuntodi Pienza fin dai tempidiPioII, molti se lo sono dimenticati che Pienza è nata in relazione a questo.Zia Remy credo lo aveva capito conlasua sensibilità ecceionale.Molti oggi non se ne rendano ancora conto.

Un pientino lontano. ha detto...

Grazie al Conservatorio, alla Fabbriceria, a Giancarlo, Fausto e agli altri una bellamostra che scava nella nostra storia. Grazie anche a Fabio che ha completato la ricerca sul rapporto fra pittura e paesaggio nel 900'. Grazie a tutti.

Anonimo ha detto...

La zia remy è rimasta sempre nel cuore della gente, perchè amava la valdorcia e pienza, dava molto e ha dato molto al futuro di questa città e di questo paesaggio, lavorando in silenzio..lei una vera pientina

io di qui ha detto...

Grazie aleardo, tu sempre presente a dare una mano, come un ragazzo entusiasta...grazie.

Fabio Pellegrini ha detto...

Ringrazio tutti quelli che hanno chiesto il testo stmpato, perchè non hanno il computer per via della loro età. Alle richieste numerose pervenute da fuori Pienza lo spedirò come ho già fatto con gli altri, con la copia della cartolina Liberty di Piena (l'unica in circolazione). Abbiiate pazienza, lo farò prossimamente.

da Firenze l'emigrato. ha detto...

Bravi tutti.

Anonimo ha detto...

Zia rEmy sul tema del paesaggio era avanti di 5o anni rispetto ai suoi contemporanei.

Anonimo ha detto...

La mostra va bene,al catalogo serviva qualche altro intervento.Ma va bene anche così bravi-

Anonimo ha detto...

I locali sono molto belli speriamo che non faccino la fine delpalazzo del papa diventato una.... Esselunga....

Anonimo ha detto...

Bravo Fausto..che lavori fatti bene...

Zio ha detto...

La zia Remy nei ritratti è grandissima....nel paesaggio ci insegna a ancora a guardare...Grazie Zia Remy, un vero personaggio da non dimenticare

Maris ha detto...

La mostra è molto coinvolgente

cabiriarecordings ha detto...

Bello. Peccato averlo letto solo adesso... Dove trovo quadri di Romea?