sabato 11 giugno 2011

15 giugno 1944, il Diario di Don Aldo Franci e il bombardamento di Pienza. Il Diario di Don Giotto e la strage dei bambini.

Mercoledì 15 giugno prossimo verrà apposta dal Comune di Pienza la lapide commemorativa del bombardamento di Pienza avvenuto il 15 giugno 1944 e della strage di bambini che seguì due mesi dopo. La sera alle 18 il Vescovo di Pienza celebrerà la Messa in Piazza Martiri, davanti ad autorità e cittadini. Per informare i giovani e meno giovani di quello che accadde quei giorni pubblichiamo queste pagine di diario palpitanti e commoventi di Don Aldo e di Don Giotto. Ringrazio Nino Petreni che nell'occasione ne ha permesso la pubblicazione, nell'interesse dei pientini. fabio.



IL DIARIO DI DON ALDO : 15 GIUGNO 1944


15 giugno, ottava Corpus Domini. In poche ore cinque incursioni aeree su Pienza con morti, distruzione e pianti. Noi - grazie a Dio tutti salvi – andiamo al campo. Vigliacchi inglesi e tedeschi!
Verso le 16:30 il primo bombardamento precipitò in pochi secondi Pienza nel più grande spavento e lutto. Io ero a letto per la siesta del dopo pranzo e verso le 3 sentii passare gli aerei, ma non mi preoccupai perché era consueto. Al ritorno dall’incursione in Val di Chiana gli aerei ripassarono su Pienza e stavo per alzarmi quando dalla via arrivò la voce di uno di quelli che tutti i giorni guardavano gli aerei passare che gridò sbigottito: hanno sganciato! Subito dopo uno scoppio tremendo seguito da altri e un sussultare della casa con rottura di vetri, invasione di polvere, calcinacci, urla di spavento, oscuramento quasi notturno, invocazioni di aiuto. Mi precipito dal letto. Mamma non fa che gridare “la mia Genova, i miei cittini”. Mi vesto e giù sulla strada in un polverone accecante e asfissiante. Genova, figli e Loreto, tutti salvi. Mamma e Loreto afferrano in fretta un po’ di panni e via a precipizio fuori Pienza. Io rimango per i primi soccorsi. Corro verso la Porta al Murello. Appoggiato sotto l’arco di Gozzante, a destra, trovo Poldino, con una mano tutta maciullata e una profonda ferita alla testa. Corro a casa a prendere alcool e cotone. Lo disinfetto e poi con un tedesco e altri che non ricordo lo portiamo a casa. Viene ad aprire, alle busse ripetute, Arduina che spaventata e pietrificata a vedere il figlio in quello stato, rimane interdetta ed invece di aprire la porta si mette a piangere e a gridare. Allora il tedesco urlando dà un calcio alla porta che cede e colpisce la povera vecchia alla testa ferendola. Si adagia Poldo sul letto. Quinto, fratello di Poldo, corre a chiamare il medico dottor Paolini. Io intanto ritorno verso la Porta al Murello e sul cumulo di macerie trovo Mario Leoncini che vedendomi mi abbraccia gridando “don Aldo, proprio a me”. La sua giovane moglie incinta di 8 mesi é seppellita. (Mario Leoncini morì lo stesso giorno al Giardino sotto un successivo bombardamento) Lo conforto come posso e poi torno da Poldo. Gli do l’assoluzione sub condizione e poi con Quinto, che non lo ha trovato ci rechiamo a casa del dottore. Non c’è. Mando Quinto verso l’ambulatorio e ritorno ancora a casa di Poldo. Quinto non torna e Poldo si fa sempre più grave, corro anch’io a cercare il dottore. Passo per il Giardino e le Mura. Quando sbocco alla strada dell’ambulatorio trovo il Pantelli e gli domando se il dottore ha molti feriti. Alla risposta comprendo che è impossibile far soccorrere Poldo a casa e che è meglio portarlo all’ambulatorio. Torno indietro col Pantelli. Presso la casa dei Pincelli ci coglie la seconda ondata. Corriamo insieme lungo il chiasso che porta al Casello (Via dell’amore) e ai primi colpi di mitraglia ci nascondiamo in un arco di porta che da sul giardino dei Pincelli. Lì, raccomandandoci a Dio stretti l’uno all’altro, attendiamo che passi la bufera. Le palle di mitraglia ci fischiano da tutte le parti, ma rimaniamo illesi. Passata l’ondata ci precipitiamo per il Casello verso il Palazzo Piccolomini, di lì corro verso casa passando da Via Elisa. Alla finestra della casa dell’Albino trovo la Volpi che piange per paura del bombardamento. Le chiedo se ha bisogno di qualcosa ma mi risponde che lì c’è sua mamma. In quel momento sulla porta della casa di fronte appare Grazia Ciolfi che mi dice di andare perché “alla poverina che si è spaventata ci penseremo io e la sua mamma ”. Le lascio, senza minimamente pensare a quello che sarebbe successo al quarto bombardamento. Colpite in pieno le due casette e quelle circostanti, sepolte vive la mamma della Volpi e Grazia, la giovane invalida rimasta sopra le macerie. A casa prendo la borsa di cuoio, dove avevo già messo i pochi denari, gli ori e i più importanti documenti, vi metto una boccia d’acqua, data l’arsione e la polvere, chiudo la casa e via in cerca dei miei.
Al Giardino proprio davanti alla casa di Giuseppe Fregoli, incontro Monsignor Vescovo che, aiutato dal mio omonimo Aldo Franci e da alcuni tedeschi, cerca di portare una donna ferita estratta dalle macerie ancora viva e adagiata su una persiana, all’ospedaletto da campo eretto dai tedeschi nella chiesa di S. Caterina. Li aiuto un po’, ma vedendo che non c’è bisogno dell’opera mia, torno indietro. Incontro il Fabbrini che mi dice di essersi attardato in casa per aprire le finestre mentre i suoi familiari scappavano e che ora li sta cercando. Ci uniamo, alla colonna di S. Caterina ,bianco come un mugnaio, troviamo ricoperto di polvere Lorenzo Fregoli la cui casa, mezza crollata, è in fiamme. Il generale tedesco Kruge, che vi abitava da due giorni, rimasto salvo se ne è andato. Lorenzo ci dice che i suoi sono tutti salvi alla Ragnaia. Nel dubbio che ci siano anche i nostri ci precipitiamo giù con lui. Ma nulla, ci troviamo tutti i Fregoli ma dei miei e dei Fabbrini nessuna traccia. Se il Fabbrini avesse compreso avrebbe fatto ancora in tempo a salvare la moglie, la sorella e 4 figli che usciti di casa e presa la via della Ragnaia si erano fermati al primo accenno del bombardamento in una grotta scavata sotto la torre mozza. Il crollo provocato dal bombardamento ostruì l’ingresso della grotta, le sei vittime morirono in serata non per ferite, ma per asfissia. Troppo tardi il Fabbrini si accorgerà della tremenda realtà. Illuso invece che nei pochi istanti intercorsi tra l’uscita da casa ed il bombardamento i suoi avessero percorso un certo cammino, viene con me, passiamo sotto gli scogli di S. Caterina, saliamo fino alla chiesa e di lì al bosco di Porciano. Dietro la chiesa, sotto un olivo del Simonelli, vediamo la famiglia di Manlio Cesarini. Giunti al bosco di Porciano, scorgendovi camion tedeschi comprendiamo che lì i nostri non possono esserci certamente e quindi di corsa indietro. Manlio, mentre ripassiamo mi chiama, suo genero Tito Morini ferito si sente poco bene. Lo disinfetto, lo fascio al braccio e gli do un po’ di acqua da bere e via. A S. Caterina mi separo dal Fabbrini, che va verso l’Arpicella in cerca dei suoi. Io di corsa torno a Pienza. Il giardino di don Bruno è in fiamme, il muro di S. Caterina crollato. Al Giardino trovo Loreto che mi dice che mamma, Genova e gli altri sono a Fontanelle. Andiamo giù insieme. Consegno a mamma la borsa. In quel momento arriva babbo dal campo di Stagno. Aveva veduto di là il bombardamento ed era accorso a cavallo della ciuca. Con lui ritorno in a Gozzante per portare giù Giangio, vecchio ed infermo. Vicino a casa ci sorprende la terza ondata, terribile. Scampati anche da quella ci precipitiamo verso Fontanelle. Babbo viene con Giangio sulle spalle. A Fontanelle non trovo più i miei. Dove sono? Terrorizzati si sono diretti verso il fosso, mi si dice. Vado giù per la strada di corsa. Gente disorientata e impaurita da tutte le parti. Ma di loro nessuno sa dirmi nulla. Giungo quasi fino alla strada nuova, nulla. Torno indietro. Trovo Loreto che mi assicura che Genova, mamma ecc. sono verso il fosso. Mentre lui va a chiamare mio babbo, rimasto a Fontanelle, io vado al ponte: nulla. Mi dirigo verso il fosso dalla parte di Casa Frati: nulla. Torno verso la ghiacciaia. Di Placido e Annina so che sono verso il Civettaio. Ci vado: vi trovo i Pincelli, la signora Neera Chessa e bimbe, monsignor Lazzerini. Li saluto e via verso il Latte di Luna. Laggiù, rannicchiati in un fosso li trovo tutti. Poco dopo giungono Loreto e babbo. Decidiamo di andare al campo. Saliamo il colle di Lucignanello, mentre babbo ritorna a Fontanelle a prendere la ciuca. Vicino alla strada ci coglie la 4° ondata. Viene colpita la zona di Gozzante. Mamma vedendo il fumo e la polvere levarsi verso l’alto grida spaventata “addio la mia casina”. Tutti salvi ci dirigiamo verso il campo. Di là, dopo aver mangiato un morso di pane, verso le 20, io, Lanciotto, e Loreto ci incamminiamo verso Pienza per vedere che cosa era accaduto delle nostre abitazioni. Nella spianata di Lucignanello incontriamo gli Sparnacci e i Lenci che trascinano un carretto con dei materassi. Ci piace l’idea e decidiamo di imitarne l’esempio. Passiamo per la Chiusa, dove troviamo Quirino, Nello e Olga. Li salutiamo e via a casa di Lanciotto. Prendiamo due sacchi di roba e un materasso e giù a Gozzante. Nel buio della notte vediamo terrorizzati la pira accesa sulle rovine della casa dell’Albino. Sapremo poi la terribile realtà. Preleviamo sacchi di roba in casa di Loreto e in casa mia. Carichiamo il legnetto e per Gozzante e la stradetta tra il seminario e il Palazzo Piccolomini, dopo mezzanotte, andiamo a Stagno, dove arriviamo dopo l’una stanchi morti per aver trascinato il legnetto caricato male. Ci riposiamo nel capanno, ma non dormo affatto.


Il testo sopra riportato è un collage del diario scritto di Don Aldo Franci alcuni giorni dopo gli eventi narrati, di memorie scritte negli anni successivi, e di dichiarazioni orali raccolte nel 2005 da Francesco Dondoli che ha trascritto il tutto e gentilmente lo ha messo a disposizione del Bollettino come cronaca di dolorosi avvenimenti.
Quindi grazie a Don Aldo per questa preziosa testimonianza e a Francesco.

LA STRAGE DEI BAMBINI dal Diario di DON GIOTTO VEGNI

Pienza– Una grave disgrazia

24 settembre 1944 Festa alla Misericordia.

Una grave disgrazia

Mentre i bambini Cappelli Michelino, Piero Barbieri, Bianchini Assuero e Geo Frati, si divertivano alle mura con una bomba da mortaio che avevano trovato nello scarico dell’immondizie; questa esplodeva facendo un rumore assordante e suscitando un grave spavento tra i paesani.
Tutti accorsero: spettacolo macabro!
Michelino, Piero, Assuero, morti all’istante trinciati, Geo ferito grave lo accompagnai a Torrita all’ospedale: gli fu estratta una piccola scheggia che gli forò il polmone e rimase là. Il professore però lo dichiarò quasi inguaribile. Io tornai subito a Pienza.
Le tre piccole salme, esposte nelle loro case, sono visitate dai paesani.

25 settembre 1944, Geo l’hanno riportato dall’ospedale ma peggiora subito e muore.
Questa sera trasporto delle tre piccole salme. Esequie in San Francesco con rito Pavulorum. Una folla di popolo partecipa al mesto e pietoso funerale. Le cassine sono portate a mano dai parenti e dai giovani.

26 settembre, Questa sera Trasporto di Geo come ieri.
In San Francesco si osserva il Rito degli Adulti. Al cimitero sono sepolti tutti e quattro in fila nel marciapiede della cappella.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

grazie

Anonimo ha detto...

Sono senza parole per quante emozioni sono riuscita a provare leggendo queste parole!
e' un tesoro prezioso questo diario e mi chiedevo se era possibile leggere ancora altre cose!

Anonimo ha detto...

Molto bello grazie a voi Fabio e Nino!!!Pientini si nasce!!!

Anna ha detto...

Nel diario di Don Aldo è niminata la signora Neera Chessa e le bambine. Una delle bambine sono io che ho 77 anni e la signora Chessa, mia madre, è deceduta a Genova un mese fa all'età di 102 anni e 7 mesi.
Saluti
Anna Chessa